"Centro Artistico Argentano" - Fiera di Argenta (Ferrara) 2-3-4-5 Settembre 1977
INTERVENTI NELL'AMBIENTE ARGENTANO
di IVANO VITALI
testo di Miranda Alberti
Quando parliamo di arte con la pretesa di farne la
critica e di darne i moduli per l'interpretazione, dovremo in primo luogo presentare la
giustificazione d'esistenza della stessa critica d'arte.
Ciò significherebbe produrre una teoria dei fondamenti e del metodo di questa pratica che
è venuta sviluppandosi e consolidandosi accanto all'arte generalmente mantenendo un
atteggiamento ambiguo nei confronti delle proprie finalità.
Una teoria simile credo che ancora non esista in una esposizione completa e sistematica,
ed ancora molto lavoro deve essere fatto.
Dovremmo dunque scegliere di tacere di fronte ad una questione così complessa?
In effetti preferiamo aggirare l'ostacolo, e di arte in senso stretto non parleremo, ma
useremo concetti tratti da altre discipline che possono rivelarsi illuminanti.
Ed è di nuovo il materialismo storico e dialettico che nei limiti delle nostre conoscenze
può rivelarsi una fonte generosa di concetti utili al nostro scopo.
Da più di un secolo gli intellettuali, i produttori di cultura in generale tentano di
darsi una collocazione di classe diversa da quella che occupavano precedentemente accanto
alla classe dominante.
E' un processo che si è svolto lentamente in alcuni casi, in modo drastico in altri e che
ha interessato successivamente gruppi di intellettuali diversi: filosofi, storici, letterati
ed anche produttori d'arte.
Lo studio di questo "processo"si complica ulteriormente quando a questo si somma
la teoria che gli stessi intellettuali producevano di questo distacco e di questa
conseguente scelta.
Le cose erano così strettamente legate che, a mio avviso, tanto più puntuale e
articolata era la teoria da essi prodotta, tanto più saldamente tenevano la posizione
conquistata sul nuovo terreno rivoluzionario.
Meglio potevano resistere nelle battaglie ideologiche, alle tentazioni di arretramento,
alle mistificazioni della destra, ed occasioni di questo genere si sono presentate varie
volte in questo ultimo secolo.
Certo che il settore meno conquistato al marxismo e alla nuova scelta di classe è stato e
in gran parte resta ancora proprio quello dei produttori d'arte e questo per varie ragioni
più o meno chiare. Non sarebbe onesto qui generalizzare, ne dare spiegazioni definitive,
valide per ogni epoca e nazione.
Mi sembra accertato comunque, che il ricatto economico imposto a questi ricercatori da
parte della borghesia ha funzionato in modo tenace fino a circondare questo lavoro con
miti ideologici resistentissimi alla critica.
Ad esempio all'analisi il mito della "libertà dell'artista" rivela la sua reale
funzione di copertura della effettiva libertà in cui essi operano.
Ancora oggi di fronte a certi contenuti politici dell'arte si fanno strane obiezioni e
tentennamenti in nome di una purezza completamente astratta del messaggio artistico.
In questa confusione ideologica si finisce poi per scambiare una posizione ancora tutta da
conquistare come l'autonomia dell'arte con un mito del passato; di un periodo cioè in cui
veramente l'arte era stretta nei confini di un rigido controllo da parte del potere.
Svelare questi miti e tanti altri ancora non è stata impresa da poco, anche
perché non
era affatto sufficiente che l'artista scrutasse nella propria coscienza per scoprire tutte
le implicazioni della sua condizione.
Si sono dovute creare nuove condizioni storiche, l'uomo e l'artista hanno dovuto vivere e
conoscere la verità nella evidenza della loro vita quotidiana per cogliere in pieno il
significato e la portata rivoluzionaria e innovativa.
I propri disagi, i propri errori, le contraddizioni di questa società che lui viveva in
prima persona sono diventati i nuovi contenuti del suo discorso e della sua ricerca.
La critica alla società ha assunto in primo luogo la forma del rifiuto del mercato
dell'arte a cui egli forniva oggetti di nessun valore, casuali i quali malgrado tutto
venivano subito assorbiti dal ciclo consumistico del capitalismo avanzato, in grado di
ridistribuire oggetti-merce di qualunque genere e di plasmare il gusto in ogni direzione
generando bisogni nuovi.
Dai materiali poveri, agli escrementi in barattolo, ai gesti più naturali (arte
gestuale), ogni esperienza alternativa era un tentativo già fallito in precedenza.
Ma alla fine il salto di classe in qualche modo era stato fatto. Nella riflessione
artistica erano entrate più o meno consciamente idee fondamentali del marxismo, come
l'analisi della merce e un netto rifiuto alla riduzione ad oggetto della creatività,
infine, dell'uomo nella pianezza delle sue manifestazioni.
Il processo e la riflessione che conducono a questa nuova concezione è complesso e
faticoso, ma alla fine ha aperto un campo di possibilità stimolante e ricco. La critica
ai miti classici dell'artista e dell'arte, a tutta l'ideologia che circondava questo
lavoro ha aperto spazi più vasti alla stessa fantasia artistica.
Lo sguardo del ricercatore liberato dai limiti accademici si è fatto acuto e interessato
a tutte le manifestazioni della vita quotidiana che potevano salvare interessi estetici
insospettabili. Il gusto del bello si è piegato ad una maggiore dialettica, si è riempito
di significati nuovi e profondi; della sofferenza del proletariato, della sua immensa
riserva di contenuti creativi.
Non è forse un caso se Ivano parla spesso dell'interesse che gli suscita il lavoro del
contadino, un lavoro non ancora completamente suddiviso e alienato e che per questo si
riempie anche dei contenuti creativi personali del lavoratore. Il suo tentativo può essere
quello di avere estratto questo aspetto del lavoro dei campi per riproporlo alla gente che
in questo modo può prendere coscienza del valore che esso ha.
Si può rimanere colpiti dalla semplicità di questa operazione, se non si riesce a
vederne le implicazioni ultime. Di fatto in esso è implicito il rifiuto della concezione
di un bello assoluto eterno, del bello ideale di tipo razionalistico.
Anche "l'estetico" deve essere sottoposto alla storicità degli eventi umani,
deve cadere dal suo piedistallo di potere per essere riportato alla vita degli uomini.
In una società così fortemente repressiva e ingiusta, così piena di contraddizioni é
operante in modo continuo e sistematico un atteggiamento ideologico indotto negli uomini
che tende continuamente a scoraggiarli e negare loro la funzione di soggetti storici,
rendendoli impotenti e passivi di fronte ad un meccanismo sociale che sembra funzionare
autonomamente, ma che al contrario riesce a sopravvivere a mala pena proprio grazie a
questo atteggiamento diffuso.
Troppo facile sarebbe cedere a questa tentazione; occorre capire che anche questa è una
forma di collaborazione. E' evidente che per abituare un uomo a vivere sotto questa cappa
di piombo del quotidiano, occorre sviluppare un'educazione rigida in ogni settore, che
lentamente spenga in lui ogni voglia di contare qualcosa, ogni fiducia nelle proprie
capacità.
Così nella scuola si apprende un atteggiamento nei confronti della cultura che è più di
rispetto formale che di un vero interesse alla conoscenza. Nel corso degli anni vengono
frustrate la curiosità, le intuizioni personali, le domande spontanee, gli interessi
particolari, fino a costituire un certo conformismo culturale. Ed è con questo
atteggiamento che in genere si vedono le mostre senza viverle, senza parteciparle,
dimenticandosi che anche questa sede è un'occasione per riappropriarsi di una parte di
sé che questa società ci ha alienato.
Ed è proprio perché crediamo profondamente che queste occasioni siano importanti che
Ivano ed io ci presentiamo anche quest'anno ai compagni con questo appello fiducioso alla
fantasia e alla voglia di discutere insieme sui temi che ci hanno interessato; e senza
proporre niente di definitivo vogliamo dare a questo lavoro il senso di una ricerca
collettiva.