ERA IL TEMPO DEL CICLOSTILE
UNA PROPOSTA DI LETTURA DELL’OPERA DEL GRUPPO ARF di Elisa Gradi
Erano gli ultimi giorni del tempo del ciclostile quando Dino Pasquali,
insieme a Dino
Carlesi, recensiva la prima mostra dell’esordiente gruppo “Arte
Ricerca Firenze” a Rosignano Solvay, nell’ottobre del 1992; tempo nel
quale il critico d’arte consegnava all’editore il proprio saggio, steso
pazientemente con la macchina da scrivere, per essere dato alla stampa
in ciclostile, e quindi raccolto in catalogo. Caratteri tipografici (da
noi riproposti in questo volume) che stavano già perdendo la propria
attualità: di lì a poco la velocità di scrittura del computer e la
trasmissione dei dati via internet avrebbero sovvertito il ritmo di
quel tempo, e le nuove tecnologie avrebbero conquistato uno spazio
sempre maggiore nel mondo delle arti visive, fino a diventare strumento
primario non solo di conoscenza, ma anche di creatività. La storia
di Dino Castelvecchi, Alberto Morelli ed Ivano Vitali sembra con forza
riportarci a “quel” tempo, al principio dello scorso ventennio, quando
le loro forze creative si unirono nella formazione di un gruppo di
ricerca che ancora oggi ognuno dei protagonisti riconosce come un
personale “Rinascimento”, un momento cruciale in cui lo studio di nuovi
valori legati all’uso di diversi materiali di scarto diede vita a forme
espressive dinamiche, di inatteso carattere formale e compositivo,
rivendicanti certamente il talento di ogni singola personalità ma, allo
stesso tempo, un valore di reciproco stimolo, motivazione, impulso alla
creazione di un nuovo e comune elemento comunicativo.
Riflettendo sul valore di segno e di emblema implicito negli oggetti
che già assumono le sembianze di un “rifiuto”, il gruppo ARF porta così
a più compiuta strutturazione un modello di creazione artistica che
vuole eleggere la materia a medium ideale non solo in virtù di un
valore estetico, ma anche per la sua carica provocatoria e
demistificatoria nei confronti di una sempre più asservitrice società
dei consumi. In linea con la ricerca propria degli ambienti
artistici internazionali fin dagli anni Cinquanta, sfociata
successivamente in quella che la critica ha teorizzato come “Trash
Art”, il
gruppo ARF non ricerca tuttavia il clamore dell’esito scandalistico o
avveniristico. Non piega la creazione all’affermazione né anela, fin
dal principio, al guadagno del favore dei mercanti. Pasquali stesso
ebbe subito a notare una “causa ideale” in questo compatto ed ortodosso
desiderio di sperimentazione, una virtù che raramente premia (oggi
come allora) con il successo, se non accetta – almeno in parte - la
declinazione al
compiacimento. Vent’anni più tardi, ne attestiamo il sostanziale
isolamento profetizzato da Pasquali, ma allo stesso tempo emerge un
quadro di instancabile ed encomiabile operosità fatta di mostre,
performances, attività didattiche che hanno valso sia al gruppo che ai
singoli componenti numerosi riconoscimenti ed attestati di stima,
culminanti oggi nell’importante esposizione al Museo Marini di Pistoia.
DINO CASTELVECCHI
C’è un momento, nella vita di un artista, nel quale il richiamo del
favore dei mercanti e dei loro critici diviene prepotentemente
allettante. È il momento nel quale si cede, per necessità, al
suggerimento, al ritocco, alla semplificazione, alla lenta ma
progressiva trasformazione di un quadro in un prodotto, sempre
più facilmente vendibile, sempre più apertamente commerciabile. È il
momento nel quale si perde, più o meno consciamente, quel senso di
virginale timore, fino ad allora provato di fronte alla tela
immacolata; si perde il tempo in cui il suo superbo biancore provocava
una sfida, una tensione d’energie, una lotta che terminava con una
creazione, con una “tranche de vie” indelebilmente fissata,
a testimoniare la vittoria dell’artista sul nulla.
Dino Castelvecchi non ha conosciuto questa perdita. Pur potendo contare
sue opere in importanti raccolte d’arte (basti qui citare le collezioni
Pecci ed Einaudi), è uno di quei pittori che sono sempre rimasti, per
così dire, a latere della speculazione del mercato. Assumendosi il
rischio che
comporta una scelta di cammino individuale, affrontando a viso aperto
il prezzo che implica il seguire null’altro che la propria ispirazione,
e la propria coerenza.
Da sempre raffinato creatore di una pittura ottenuta con la
stratificazione e la sovrapposizione sulla tela di materiali poveri, di
fortuna – terra, sabbia,
graffite, cartapesta, stoffa, lamiera – Dino Castelvecchi punta ad
ottenere da una superficie quanto mai scabra, scalfita, attraversata da
profondi incavi e spaccature, l’effetto di una sontuosa modulazione
tridimensionale, aperta alle infinite declinazioni che provoca il
contatto con la fonte luminosa. Estroflette profondamente la tela, la
rende ondeggiante al minimo cambiamento di luce, preda di un raffinato
inseguirsi di mutevoli contrasti chiaroscurali. Pone l’accento su
accostamenti improvvisi di superfici trattate con la foglia d’oro e una
ruvida tela di iuta; di zone smaltate e percorsi di caliginose
increspature di cartapesta. Superfici monocromatiche si assoggettano
alla sovrapposizione di rigogli metallici ottenuti con lamine d’acciaio
che, a seconda delle linee di taglio, si concedono alla provocazione
luminosa a simulare, per immediate analogie, la costruzione dei grandi
totem delle nostre città.
Una ricerca condotta fin dal principio degli anni Sessanta, (avvertendo
l’importanza del messaggio dei primi artisti “materici”, da Tapies a
Burri), ma che ancora oggi continua ininterrotta, ad attestare la
costanza di un artista che, fuori dal coro,ci insegna che la creazione
è, senza compromessi, un profondo ed esclusivo dialogo con la propria
interiorità.
ALBERTO MORELLI
All’ingresso nel gruppo ARF, Alberto Morelli indirizza la propria
ricerca verso universi timbrici fino ad allora inesplorati, trovando
nell’unione fra materia e colore la sintesi ideale della sua volontà
compositiva. Proveniente da un’esperienza di pittura prima figurativa,
poi geometrica ed infine informale, Morelli affronta insieme ai
compagni l’indagine di una nuova “materialità” del campo pittorico,
abbandonando l’usata imitazione illustrativa per trarre ispirazione
dalle potenzialità estetiche, spaziali e coloristiche che i
materiali di scarto gli possono offrire.
La superficie del suo nuovo quadro viene così gremita di lastre e
trucioli d’acciaio, ferro, rame ed alluminio, mentre ampie colature di
colore fluttuano in una marea dirompente e libera da ogni volontà
formale, intensificando la modulazione tridimensionale e la sensibilità
tattile della composizione, nonché il riflesso della materia allo
stimolo della fonte luminosa.
Nella stessa scelta dei materiali da riutilizzare, Morelli va alla
ricerca di scarti dalle insolite forme, o dalle particolari qualità
timbriche, ne indaga a
fondo le potenzialità espressive; riconosce nello scampolo rinvenuto il
valore del segno del passaggio del tempo, penetrato fatalmente nelle
pieghe delle trame fino a stravolgerne sia la forma che la vibrazione
cromatica. Così, la sensuale ricezione spaziale e luminosa della
materia trova compimento nell’incontro coll’impasto tonale del tessuto
coloristico, restituendoci un partito visivo interamente giocato
sull’integrazione reciproca delle parti.
La sintesi di una pittura che trova fra la stagione materica ed
informale la principale fonte di ispirazione è così per Morelli
corroborata da un gesto che vuole rimanere creatore ed impulsivo,
forzato a mille possibilità, non ultima quella di essere espressione di
un’opera “in divenire”, aperta alle declinazioni improvvise di
simultanee impressioni ottiche. Le opportunità percettive
divengono così infinite, imponderabili, varianti all’incontro con la
luce, la sua incidenza, lo scorrere del tempo. Ed in questa giostra di
continue variazioni, nella virtualità di questi percorsi, si
riconoscono tutte quelle valenze di energia, di dilatazione emotiva che
rendono l’opera di Morelli una testimonianza significativa della
creatività contemporanea, oltre che un una severa voce di protesta
contro l’irresponsabile ansia consumistica che ammorba la società in
cui viviamo.
IVANO
VITALI
Il
percorso artistico di Ivano Vitali prende il suo avvio dai primi anni Settanta
quando, all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ebbe il suo primo incontro con
Flavio Caroli, suo insegnante di storia dell’arte, che lo introduce alla
poetica dell’Arte Povera dell’ambiente artistico torinese e,
successivamente, con Renato Barilli, durante la storica manifestazione “La
settimana della Performance” al Museo di Arte Moderna di Bologna, alla quale
parteciparono i più importanti artisti performer del tempo. La sua versatile e
aggiornata formazione culturale porta così Vitali alla prima performancea, nel
1979, quando si trasferisce all’Impruneta, nelle campagne fiorentine, ed
inizia a rivolgere la propria attenzione verso le nuove possibilità espressive
che gli offre il rinvenimento di materiali poveri; da qui, la prima,
significativa performance con lo strappo della carta del giornale, caricata di
un intento palesemente provocatorio nei confronti della cultura massificante dei
media.
Profondamente
legato alla tematica ecologista, Ivano Vitali è turbato dal progressivo e
pericoloso processo di distruzione del normale rapporto fra l’uomo e
l’ambiente naturale, ne avverte intimamente il disagio, vuole restituire alla
sua creatività un ruolo di efficacia etica, oltre che estetica. Ed ecco che la
carta si elegge a medium ideale: materia che Vitali indaga per anni nelle sue
peculiarità espressive ma riscopre, con forza, al principio degli anni Novanta,
quando si unisce al gruppo ARF. Il recupero della carta di quotidiani e riviste
diviene così il punto focale della propria creazione, l’incontro della
motivazione concettuale ed ecologica che muove il suo pensiero: nascono così i
lunghi fili di carta con i quali intreccia arazzi, sculture, abiti. Evitando
l’uso di colle o sostanze chimiche, ogni sua creazione si trasla così,
concettualmente, in un archivio: un’operazione che immobilizza la scrittura a
durare, isolandola e cristallizzandola in creazione, idealmente recuperabile in
tutta la sua interezza. Opere che hanno soprattutto un forte obiettivo
didattico, contemplazioni che sono, prima di tutto, un potente messaggio.
Vitali
si vale molto abilmente del suo corpo con azioni pubbliche (tra le quali
ricordiamo la performance alla Biennale di Venezia nel 2003) dove indossa i suoi
vestiti di carta ed i suoi movimenti, la sua sentita partecipazione
all’azione, la sincera e profonda convinzione con la quale carica il proprio
gesto, aiuta lo spettatore a comprendere la profondità delle tematiche
proposte, persuade il suo uditorio della validità del messaggio ironico e
dissacratorio nei confronti di un consumismo sfrenato ed inconsapevole, del
quale la sua arte si fa, a tutt’oggi, determinata ed instancabile portavoce
Febbraio
2010 Elisa Gradi |